ROMA - Terence Hill sembra appena sceso da cavallo. Jeans, camicia sportiva, stivali da cowboy, aspetta le domande con aria guardinga. L'attore popolare che in coppia con Bud Spender dava cazzotti ai cattivi senza fare male a nessuno, il sacerdote-investigatore che vola in bicicletta nella serie più seguita della stagione (stasera su RaiUno l'ultima puntata di Don Matteo) è un uomo timido che non ama parlare di sé. "È la parte del mio lavoro che mi piace meno: apparire". Ha vissuto sette vite Mario Girotti, 70 anni che sembrano 50 - dal Gattopardo di Visconti al successo con Bud Spencer dagli spaghetti western al gran ritorno in tv - ma a modo suo. Dividendosi tra l'Italia e il ranch in Massachussetts "dove vivo a contatto con la natura, scio fuori pista, monto a cavallo; il paesaggio come è quello canadese: laghi, foreste, l'inverno è bellissimo".
Non a caso, oltre alla nuova serie di Don Matteo girerà, sempre prodotto dalla LuxVide, L'uomo dei boschi, sulla difesa dell'ambiente. "Vivere a contatto con la natura guarisce le persone" spiega "io in montagna mi rigenero". Nella sua carriera ha rifiutato Rambo ("troppo violento) ed è diventato un'icona positiva. "Anche se ci tengo a dirlo: in 144 episodi Don Matteo non pronuncia mai la parola "peccato": ma solo errore, sbaglio. Perché non è un sacerdote che giudica, non abbiamo bisogno di essere bastonati". Ha la borsa pronta, va a trovare i fratelli: "Uno è geologo, ha vissuto per anni in Mozambico; l'altro è professore di Lettere".
Terence Hill, cominciamo dall'ultima vita, quella da Don Matteo.
"Non va sottovalutato il pubblico che sceglie, la qualità è stata apprezzata. Mi colpisce l'impatto di un personaggio. In Vaticano alla riunione degli artisti mi si è avvicinato un cardinale: "Perché non si è vestito da Don Matteo"?".
Come si spiega che la fiction vinca sul reality?
"Abitavo in America quando è andato in onda il primo Grande fratello e tutti scrivevano con preoccupazione che il nocciolo dello show era l'eliminazione, io faccio di tutto per farti fuori. In Don Matteo vince l'inclusione, l'accoglienza. Noi e Un medico in famiglia abbiamo riunito gli italiani. In questo momento difficile ha vinto la tv non ansiogena".
Non ha avuto dubbi a indossare la tonaca?
"No, perché Don Matteo l'ho plasmato su di me. L'ho reso sportivo, curioso. Cerco di essere saggio, nel complesso sono una persona serena. Chiesi solo di cambiare titolo: Don Teodoro non suonava, non me lo sentivo. E ho scelto Matteo".
Per anni il suo nome è stato affiancato a quello di Bud Spencer: com'è nato il sodalizio?
"Per caso, tutta la mia carriera è stato un "caso organizzato". Un attore che lavorava su set di Il gatto, il cane e la volpe, primo titolo di Dio perdona, io no, si fece male a un piede litigando con la fidanzata. Il regista Giuseppe Colizzi corse in Italia e Manolo Bolognini, il fratello di Mauro, mi presentò. Feci il provino a mi presero, fui scaraventato dall'aereo sul set. Da una cesta tirarono fuori i pantaloni e una camicia, e cominciai a girare".
E con Spencer-Pedersoli ci fu subito sintonia?
"Sì, dopo poche scene. Con lui mi trasformo, ha il potere di far emergere un'altra parte di me. Mi ricordo ancora una mamma con due bambini: "Quando vado a vedere i vostri film vado sul sicuro, non ho mai brutte sorprese". Erano storie pulite".
Farete qualcosa insieme?
"Certo, ma dev'essere la storia giusta. Bud sta scrivendo una sceneggiatura, un remake di Dr. Jekyll e Mr Hyde. Siamo amici anche fuori dal set, anche se non ci sentiamo so che lui c'è, pronto a darmi consigli. L'affetto del pubblico è intatto. Il cinema popolare di ieri è diventato la fiction".
Aveva poco più di vent'anni quando girò "Il gattopardo".
"Avevo una piccola parte, ricordo la grande calma sul set. Visconti era un perfezionista, giravamo due ciak buoni in italiano e due in inglese".
Non appare sui rotocalchi, fa vita ritirata.
"È il mio carattere. Il mio primo agente diceva: "Devi farti vedere in quel posto, se no non arriverai mai". All'inizio soffrivo, sono arrivato dove volevo a modo mio. Lavorando".
Che rapporto ha con i soldi?
"Mi fa piacere non doverci pensare, perché ci sono. Ma nella mia famiglia se n'è sofferta la mancanza. Una volta in America ho perso tutto, avevo affidato i risparmi a un investitore che li fece sparire. Mi rivolsi all'avvocato, ero disperato. Una truffa enorme in cui era rimasto vittima anche Jack Nicholson. Ho ricominciato da zero".
Dove si sente a casa?
"Lo sa che non lo so? Ma con l'avanzare degli anni sento di più il problema".
Fonte: S.Fumarola -La Repubblica - 26/11/09
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